1.9.07

Capitolo quattro

Neval era. Non è che si ponesse domande complicate come dove era, quando era, da quanto era: si accontentava della tranquilla certezza di essere. Sentiva i vari ciottoli del fondo della caverna che formavano strani disegni sulla sua pelle, sotto i 250 Kg di peso del suo corpo, e che se avessero potuto urlare, non lo avrebbero fatto perché non avrebbero più avuto fiato nel loro piccolo corpo siliceo.
Neval era chiamato anche UD dagli altri componenti del suo Clan, perché UD significa Idiota, e lui era considerato l'idiota del Clan: e se si pensa che si trattava di un Clan di Troll di montagna si riesce a capire molto della natura di Neral.
Lui, in effetti, era l'ultimo ritrovato in campo di bisogni primari; nulla di così futile come il benessere del gruppo, l'armonia, il rispetto del prossimo o sensazioni simili, andava a turbare i primigeni impulsi di Neval: fame, sete, sonno, bisogni fisiologici ed a volte una strana emozione che lo spingeva a scambiare le sedici parole che conosceva con Padu, una Troll che lui stesso considerava "stupida" se mi capite.
In quel momento, Neval era steso a terra, nel fresco ricovero di una caverna, sul fianco di una montagna, con una polla d'acqua che gorgogliava piano lì vicino, e i sassi sotto di lui che non si lamentavano, ed un certo buio non troppo fitto che consentiva di godersi in pace un tranquillo pisolino.
In questa specie di paradiso per Troll, Neval stava per concedersi il suo quotidiano riposo di bellezza, quando il leggero chiacchiericcio della polla venne coperto dal rauco e fastidioso gracchiare:
"UD? DOVE TE?"
il grosso bestione si grattò le costole rotolando su di un fianco, deciso ad ignorare la voce, ma questa divenne ben presente nella figura di una giovane Troll, in cui le squame verdi avevano assunto una vezzosa sfumatura azzurrina.
La Troll avanzava con passo tonante nella caverna, stringendo tra le enormi mani un oggetto polveroso e colorato; si avvicinò al grosso corpo riverso di UD e lo scosse con violenza, dandogli anche qualche botta di sovrappiù con l'oggetto che stringeva nel pugno
"UD? ALZA!! TU FA FUOCO?"
Neval rotolò su se stesso e nel frattempo alzò una mano dalle dimensioni di una pala mollando un sonoro ceffone alla giovane, che reagì sorridendo come una adolescente davanti al professore, del quale è segretamente innamorata.
"ME NO UD, ME NEVAL!"
Disse il Troll stiracchiandosi; quindi adocchiò l'oggetto con il quale Padu continuava a picchiarlo, e corrugò la fronte
"CIBO? DA CIBO."
diede alla spalla della compagna una botta che avrebbe divelto una porta, quindi si alzò
"NO CIBO. COZO NO CIBO. TU FA FUOCO?"
Il giovane Troll finalmente si alzò e strappò dalle mani della femmina l'oggetto, scrutandolo da varie angolazioni e dandogli leggeri colpi, che poi tanto leggeri non erano, ma d'altronde non si può pretendere troppo, per togliere la polvere accumulata.
Un rivestimento in pelle azzurra, con un odore strano, degli oggetti attaccati sopra e della strana roba all'interno, come un sacco di foglie bianche attaccate. Improvvisamente una illuminazione accese lo sguardo spento del Troll: aveva visto delle foglie del genere nelle tasche di un umano che avevano cotto alcuni giorni prima col Clan: erano foglie che facevano prendere bene il fuoco sotto la legna.
Felice di aver capito la funzione della cosa annuì allegro alla volta di Padu:
"IO FA FUOCO. COZO A FOGLIE DA FUOCO!"
Fu in quel momento che il libro comprese che se non avesse fatto alla svelta qualcosa, presto non avrebbe avuto altro da fare che crepitare, friggere, e finire in cenere.
con uno sforzo allargò la sua capacità di percepire le menti dei presenti trovando inizialmente solo un vuoto desolato.
Poi lontana, quasi al limite della percezione, una fiammella di... be chiamiamola intelligenza, che si avvicinava, dondolando baldanzosa per il fianco della montagna, con la mente fissa sul fresco e sul cibo.
Lanciò il suo richiamo, dolce ed invitante verso quella fiammella, che se anche non brillante, rivelava la pallida luce della magia in ogni suo risvolto, ed spinse perché quel richiamo fosse irresistibile, quanto i pensieri che fino a poco prima imperavano su quella mente.