13.3.08

Credo che chiunque segua questo blog e siete pochi abbia notato il lungo stand by che c'è stato
spero onestamente di tornare ad avere l'ispirazione e chiedo venia per quelli che hanno atteso e dovranno attendere ancora un poco: spero di poter provvedere presto.
stringete i denti e resistete.
Zemora sta per tornare.

1.10.07

Capitolo cinque

Caracollando per il prato, la strega procedeva spedita verso il lato della montagna, attratta dalla fresca ombra degli alberi che oscillavano silenziosi al vento, sperando tra sé che ci fosse una qualche piccola caverna, con un morbido fondo muscoso su cui schiacciare un pisolino, dopo una mattinata spesa nella faticosa ricerca.
Il caldo di un sole oramai a picco, nell'ora del pranzo, faceva sudare copiosamente la donna, che si asciugava la fronte, scostando i flosci capelli sfibrati dalla pelle madida, mentre lo stomaco brontolava sonoramente; Zemora con una mano andò a palpare il fagotto che portava nel cesto, pregustando le fette di prosciutto, il grosso pezzo di formaggio ed il pane saporito che aveva accuratamente preparato prima di uscire di casa. Quello di cui aveva bisogno ora, era una buona polla d'acqua fresca, e Zemora sperava che nella caverna su cui stava fantasticando ci fosse anch'essa.
Camminava comunque con la testa abbassata, occhi puntati sulle ricche erbette del sottobosco, pronta a raccogliere le piante di cui aveva bisogno e ben decisa a fare un carico che le sarebbe bastato almeno per un mese di pozioni varie.
Fu in quel preciso momento, mentre il pensiero vagava da una parte e gli occhi da altre due, che un qualcosa le toccò la mente: fu qualcosa di delicato e rapido, ma deciso, qualcosa che la sondò ed in un attimo seppe cosa doveva fare e come farla.
Zemora, improvvisamente si drizzò in tutta la sua bassezza, e guardò fissa il fianco della montagna: li, di fronte a lei, anche se ancora invisibile, sapeva che c'era la caverna che tanto desiderava, ed il bisogno che aveva di quell'acqua fresca che sapeva zampillare là dentro era così forte da non dare tempo a nulla d'altro; doveva andare assolutamente e subito.
Con passo deciso riprese la sua marcia verso la caverna, senza più sostare a cogliere le erbe che le servivano, ma intimamente sorpresa della sua improvvisa sicurezza.
Come faceva a sapere con tanta precisione dove si trovava la caverna, se solo fino a poco prima era solo un pio desiderio quello di trovarne una? E poi: era così certo che ci fosse dentro una polla d'acqua? Perché era inutile andare tanto rapidamente verso quella direzione se non c'era l'acqua che voleva:in fondo l'ombra degli alberi lì vicino era così fresca ed invitante...
Come una sorta di autodifesa inconscia, l'innata pigrizia di Zemora stava quasi per vincere quella strana spinta che sentiva, ma la forza che guidava la mente della strega in quel momento si fece di nuovo ferrea, e le fece rialzare gli occhi spingendola adaccelerare il passo.
Ci vollero circa dieci minuti buoni per giungere di fronte a quella caverna, ma alla fine ecco lo squarcio nella parete della montagna di fronte a lei: l'antro era grande, e profondo, con molte aperture che permettevano il passaggio della luce e lo rendevano uno spazio niente affatto sgradevole; presentava anche un fondo muscoso alquanto invitante per la stanca schiena della donna, e sarebbe stato anche piacevole stendersi li, con il suo pane e il suo prosciutto a tenerle compagnia, se non fosse stato che a quel punto la sete le bruciava la gola riarsa, facendole lacrimare gli occhi.
Aveva come la sensazione di sentire l'odore dell'acqua più avanti, e si spinse, esitante sul pavimento cedevole dell'antro, guardandosi attorno, insicura: sapeva bene cosa si poteva incontrare sulla montagna, specie in caverne così ben areate e spaziose, e non aveva alcuna voglia di trovarsi faccia a faccia con una delle simpatiche razze autoctone...
Sul fondo della caverna si apriva una specie di corridoio naturale che procedeva nel cuore della montagna, non scendendo ma divenendo più scuro e quindi meno invitante dello spazio all'ingresso; ma la sete e l'impulso che provava stavano divenendo veramente irresistibili, quindi uno dopo l'altro spinse i suoi piedi restii all'interno del lungo tunnel buio, apparententemente infinito.
Una decina di passi ed ecco invece la fine: una curva che conduceva in un altro ambiente grande, in cui una bellissima polla d'acqua gorgogliava felice, mentre due enormi troll sembravano presi nelle simpatiche effusioni tipiche dei troll - come gentili sberle, e dolci cazzottoni -.
Improvvisa come se n'era andata, la prudenza della donna tornò precipitosamente nella sua testa urlandole con quanto fiato in gola aveva che uno dei piatti preferiti dei troll di montagna era la strega al sangue.
Un balzo laterale le bastò per trovare riparo dietro una enorme roccia, che però non era più sulla via di fuga.
I due bestioni intanto parlavano tra di loro e sembravano gesticolare di qualcosa che era nascosto nell'enorme pugno del troll maschio, che si distingueva dal troll femmina per la mancanza di seno, o almeno così sembrava, perché per il resto erano ambedue brutti come troll.
Se in quel momento Zemora si fosse voltata e fosse fuggita per il corridoio, sfruttando la disattenzione dei due, nulla sarebbe successo; se i due l'avessero notata e catturata ci sarebbe stata una strega in meno e due troll satolli in più e null'altro sarebbe successo.
Però la curiosità ebbe la meglio. Zemora si sporse dal macigno, il troll aprì leggermente il pugno mostrando cosa conteneva e l'incantesimo poté essere lanciato: improvvisamente il libro che fino a quel momento aveva sudato come un mulo per condurre la svanita mente della strega attraverso la campagna e la caverna usò tutto il suo indiscutibile fascino, e come d'incanto la polvere cadde, le pietre brillarono, le pagine frusciarono invitanti e la pelle si fece morbida e setosa, mentre i colori risultarono più colorati del solito.
Lui vide lei, lei vide lui e tutto ebbe inizio: il libro doveva essere suo...

1.9.07

Capitolo quattro

Neval era. Non è che si ponesse domande complicate come dove era, quando era, da quanto era: si accontentava della tranquilla certezza di essere. Sentiva i vari ciottoli del fondo della caverna che formavano strani disegni sulla sua pelle, sotto i 250 Kg di peso del suo corpo, e che se avessero potuto urlare, non lo avrebbero fatto perché non avrebbero più avuto fiato nel loro piccolo corpo siliceo.
Neval era chiamato anche UD dagli altri componenti del suo Clan, perché UD significa Idiota, e lui era considerato l'idiota del Clan: e se si pensa che si trattava di un Clan di Troll di montagna si riesce a capire molto della natura di Neral.
Lui, in effetti, era l'ultimo ritrovato in campo di bisogni primari; nulla di così futile come il benessere del gruppo, l'armonia, il rispetto del prossimo o sensazioni simili, andava a turbare i primigeni impulsi di Neval: fame, sete, sonno, bisogni fisiologici ed a volte una strana emozione che lo spingeva a scambiare le sedici parole che conosceva con Padu, una Troll che lui stesso considerava "stupida" se mi capite.
In quel momento, Neval era steso a terra, nel fresco ricovero di una caverna, sul fianco di una montagna, con una polla d'acqua che gorgogliava piano lì vicino, e i sassi sotto di lui che non si lamentavano, ed un certo buio non troppo fitto che consentiva di godersi in pace un tranquillo pisolino.
In questa specie di paradiso per Troll, Neval stava per concedersi il suo quotidiano riposo di bellezza, quando il leggero chiacchiericcio della polla venne coperto dal rauco e fastidioso gracchiare:
"UD? DOVE TE?"
il grosso bestione si grattò le costole rotolando su di un fianco, deciso ad ignorare la voce, ma questa divenne ben presente nella figura di una giovane Troll, in cui le squame verdi avevano assunto una vezzosa sfumatura azzurrina.
La Troll avanzava con passo tonante nella caverna, stringendo tra le enormi mani un oggetto polveroso e colorato; si avvicinò al grosso corpo riverso di UD e lo scosse con violenza, dandogli anche qualche botta di sovrappiù con l'oggetto che stringeva nel pugno
"UD? ALZA!! TU FA FUOCO?"
Neval rotolò su se stesso e nel frattempo alzò una mano dalle dimensioni di una pala mollando un sonoro ceffone alla giovane, che reagì sorridendo come una adolescente davanti al professore, del quale è segretamente innamorata.
"ME NO UD, ME NEVAL!"
Disse il Troll stiracchiandosi; quindi adocchiò l'oggetto con il quale Padu continuava a picchiarlo, e corrugò la fronte
"CIBO? DA CIBO."
diede alla spalla della compagna una botta che avrebbe divelto una porta, quindi si alzò
"NO CIBO. COZO NO CIBO. TU FA FUOCO?"
Il giovane Troll finalmente si alzò e strappò dalle mani della femmina l'oggetto, scrutandolo da varie angolazioni e dandogli leggeri colpi, che poi tanto leggeri non erano, ma d'altronde non si può pretendere troppo, per togliere la polvere accumulata.
Un rivestimento in pelle azzurra, con un odore strano, degli oggetti attaccati sopra e della strana roba all'interno, come un sacco di foglie bianche attaccate. Improvvisamente una illuminazione accese lo sguardo spento del Troll: aveva visto delle foglie del genere nelle tasche di un umano che avevano cotto alcuni giorni prima col Clan: erano foglie che facevano prendere bene il fuoco sotto la legna.
Felice di aver capito la funzione della cosa annuì allegro alla volta di Padu:
"IO FA FUOCO. COZO A FOGLIE DA FUOCO!"
Fu in quel momento che il libro comprese che se non avesse fatto alla svelta qualcosa, presto non avrebbe avuto altro da fare che crepitare, friggere, e finire in cenere.
con uno sforzo allargò la sua capacità di percepire le menti dei presenti trovando inizialmente solo un vuoto desolato.
Poi lontana, quasi al limite della percezione, una fiammella di... be chiamiamola intelligenza, che si avvicinava, dondolando baldanzosa per il fianco della montagna, con la mente fissa sul fresco e sul cibo.
Lanciò il suo richiamo, dolce ed invitante verso quella fiammella, che se anche non brillante, rivelava la pallida luce della magia in ogni suo risvolto, ed spinse perché quel richiamo fosse irresistibile, quanto i pensieri che fino a poco prima imperavano su quella mente.

18.8.07

capitolo tre

Era semplicemente impensabile. Anni di preparazione, di pianificazione, di concentrazione per ottenere la perfezione; poi secoli di duro lavoro, secoli di silenzioso servigio, di ubbidiente accettazione, di pronta intuizione per servire al meglio: secoli di continuo ed indefesso lavoro, sotto questa o quella egida, con il comando di questo o quel demone. Ma tutto sempre con il massimo dell'eleganza e del buon gusto, tutto con l'attenzione ai particolari, con una certa ricercatezza. E per che cosa? In cambio di cosa? Ora era lì, per terra, con la sua stupenda copertina in delicatissima pelle di Xur azzurra e viola a raccogliete polvere che ne avrebbe alla lunga chiuso e soffocato i minutissimi pori facendo soffrire quella delicata superficie. I bei gioielli resi opachi dallo sporco; e le pagine, le sue povere pagine perfette, tutte in stupenda carta pergamena invecchiata e trattata con pregiatissime resine, quelle pagine che racchiudevano secoli di scritti potenti, di nascosti misteri, di importanti messaggi, scritti col sangue di migliaia di razze diverse, proveniente da molteplici piani e dimensioni.

Tutto lì, abbandonato nel sudicio passaggio di una qualunque galleria dimenticata in qualche assurdo piano di esistenza; e quel grosso pezzo di idiota di contabile che se lo perdeva da sopra la pila di fogli, come se lui, LUI, fosse l'ultimo blocco di appunti di questo o quell'universo, e non, la summa delle figure demoniache di livello di tutto il quarto inferno, con capoversi pronti per accogliere quelli del quinto e sesto.
Quale mancanza di rispetto, quale incuria dimostrava quel burocrate demoniaco di infimo livello, dimenticando un particolare assolutamente fondamentale: il suo nome, il suo ruolo nelle demoniache schiere e la sua evocazione erano i primi dati a comparire al lettore,come si conviene a chi deve dimostrare di aver fiducia nel proprio operato.
Pensieri di pura vendetta si agitavano tra quelle pagine ambrate, scuotendo e arricciando i bordi dal delicato color oro rosso, pregustando il giorno in cui qualcuno avrebbe raccolto la sua polverosa costola, aprendo inavvertitamente proprio a quella pagina il libro e leggendo, stupito, proprio quelle parole che avrebbero evocato e legato al servizio quello stupido imbrattafogli, che nel momento in cui lo avrebbe visto avrebbe capito, ma non avrebbe potuto fare altro che bollire di rabbia, rimproverarsi amaramente ed obbedire agli ordini del suo nuovo padrone.
Mentre si crogiolava nei suoi pensieri di giusta vendetta, la sabbia su cui poggiava cominciò a vibrare ritmica, come se un passo pesante si stesse avvicinando. Quasi non poteva credere alla sua fortuna: che l'ora della sua vendetta fosse già giunta? che solo dopo pochi... giorni?... ore?... mesi? ... il tempo in quelle pieghe tra le dimensioni aveva uno strano modo di scorrere, una peculiarità tutta sua, come una pallina che rimbalzi avanti ed indietro per le mura di una stanza senza un ordine ed una direzione precisa...
Teso nell'ascolto della vibrazione, rimpianse di non aver e il dono della vista, oltre che quello del pensiero evoluto, ma sentiva che il passo si avvicinava, sempre più vicino, sempre più prossimo, fino a che si fermò vicino alla sua copertina, e uno sbuffo di polvere si posò sulla pelle creandogli nuovo disturbo, dato che LUI non poteva nemmeno starnutire...
Una mano grossa (molto grossa in effetti), si chiuse sulla delicata costola; una botta priva di qualsiasi delicatezza scosse la polvere; un soffio caldo e umido, probabilmente condito con strane spezie, soffiò con forza le ultime tracce di sabbia dalle sue decorazioni. Il Libro si sentiva pronto: era il momento in cui si sarebbe divertito sentendo le parole uscire da bocca legata a quella mano.
Con un semplice sforzo si aprì, come d'incanto alla prima pagina delle evocazione, in cui, con delicata ed elegante grafia era riportato il nome del colpevole, che avrebbe pagato per anni a venire la sua colpa, e attese, vibrante di sentirne pronunciate quelle sillabe: le sillabe della sua rivincita! Attese, attese, e quando l'attesa sembrò protrarsi per parecchio più del preventivato ecco che un respiro, un colpetto di tosse, quindi " UD??? UGNO, COSO CARTOZO. TU HA PIRSO ISSO PER FUOCO? UD? TU E'?...."

16.7.07

capitolo due

Non esiste nessun oggetto che di per sé sia buono o cattivo: sono le persone che lo usano che possono renderlo tale; o gli incantesimi che uno ci fa sopra o ci mette dentro, è chiaro.

Nel nostro caso, tra sopra e dentro, non era certo scarso il banale libro in pelle rossa che giaceva dietro una pietra in una banale caverna in un banale pomeriggio di primavera.

Tutto tranquillo e tutto normale, se non fosse stato…

Camminava per i prati con la testa abbassata quasi all’altezza delle ginocchia, e non era poi questo grande sforzo, visto che le sue ginocchia distavano abbastanza poco dalle sue spalle. La folta ed ispida capigliatura le scendeva sulla faccia arrivando a sfiorare quasi il suolo in cui si confondeva con il suo colore che andava dal marrone fango al verde erba secca.

Il corpo tozzo avanzava caracollando sul prato ed ogni tanto un occhio spuntava dal folto della capigliatura, sciabolava il prato, spaventava gli animaletti del bosco e si rintanava di nuovo sotto la cascata di capelli.

Una voce stridula e lamentosa accompagnava questo avanzare, come un cantilenare costante ed incessante:“Non è possibile. Alla mia età eccomi qua, sola, senza un'assistente. Eppure ne ho fatto richiesta più di una volta. In fondo, a me, che manca? Ho una capanna tutta mia: certo non è una reggia, ma si tratta di imparare mica di andare a passare le vacanze in locanda... Certo non ho la fonte nella capanna, ma è tutta colpa di quell’imbroglione di Settimus, che mi ha venduto la pergamena sbagliata: che ne sapevo che si sarebbe aperto un camino vulcanico invece di una fonte con quell’evocazione del cappio? E poi, se ci vado IO a prendere l’acqua con il secchio fino alla fonte, ci può andare anche un'assistente. In fondo non l’ho fatto anche io ai miei tempi? È solo invidia la loro, ce l’hanno con me ancora per quella storia del passaggio delle consegne; ma io non c’entravo niente, e QUELLE ancora non ci credono…”

Le lamentazioni proseguivano incessanti passando di motivo in motivo, evocando eventi appartenenti a periodi più o meno distanti nel tempo, come se fossero tutti simultanei, e tutti la causa della sua sciagurata solitudine.

Mentre avanzava, piccole e grassocce mani adunche scendevano ratte verso il pavimento e ghermivano questo o quello stelo di pianta che non era stata abbastanza veloce da sradicarsi e fuggire verso il più vicino cespuglio, infilandola quindi nella cesta che si portava dietro.

Quando alla fine si fermò e si raddrizzò in tutta la sua bassezza, la strana figura si rivelò per essere… beh... diciamo, sicuramente un rappresentante del sesso femminile, viste le prorompenti qualità che ne appesantivano la parte anteriore e che poggiavano sulla abbondante parte addominale. Si poteva quasi arrischiare la qualifica di umanoide, visto che era dotata di due braccia e due gambe, con mani e piedi al loro posto, senza code né corna od altro, ma la pelle aveva una gradazione di marrone terra che dava da pensare, mentre le fattezze del viso rendevano alquanto incerta la cosa. Occhi, due, sì, ma pareva che avessero litigato di fresco, e non volessero andare d’accordo per nessuna ragione, tanto che avevano deciso di fare ognuno gioco a sé; il naso sembrava essere stato appoggiato lì per caso, un naso grosso, quasi imponente, serio, completamente fuori luogo in quel viso.

La bocca, poi, era enorme, con i denti, quasi tutti, lanciati a casaccio, ma forti e apparentemente ben tenuti.

Posando le mani selle reni, la "donna" si stirò in tutta la sua (scarsa) altezza, e si guardò attorno, stanca della salita; ma non c'era nessun ruscello allegro, nessun albero frondoso che invitasse alla sua ombra per riposare: sembrava ci fosse stato un fuggi fuggi generale. Poi, aguzzando la vista, vide una caverna che si apriva sul fianco della montagna e fece un ghigno soddisfatto “bene, bene, sembra che ci sia un posticino in fondo in cui fermarsi a fare uno spuntino ed un pisolino. Beh, almeno quello, in una giornata così calda... Certo, se avessi avuto un'assistente, avrei potuto mandare lei a fare questa faticaccia per venire fin quassù a raccogliere le piante; ma che ci si può fare... Io non sono ancora qualificata… come se non fossero anni…”

Le lamentazioni ricominciarono, anche se il passo si fece ben più spedito mentre si avvicinava alla caverna.

La nostra, che a questo punto è giusto rivelare essere una Strega a nome Zemora, era in verità ancora abbastanza giovane per essere una Strega, ma aveva avuto nella sua vita alcuni eventi che ne avevano peggiorato il carattere, cosa alquanto difficile visto che già di suo non è che fosse proprio bellissimo.

E in quella splendida giornata estiva, Zemora si sentiva combattiva e in lotta col mondo, esattamente come al solito...

13.7.07

capitolo primo

C’è gente che è convita che ogni cosa abbia una sua origine in un evento accaduto precedentemente, magari insignificante, e che ha prodotto una caduta di causalità fino a quando non si arriva all’evento odierno per quanto esso sia catastrofico e devastante.

È vero.

Questo ve lo può confermare senza ombra di dubbio ogni persona, cosa o non-persona coinvolta nella situazione di cui stiamo rivivendo gli accadimenti.

Nel nostro caso l’evento iniziale, che dette il via a tutto quello che successe dopo, fu un ritardo.

Yeurdar Kedalizef Seduprin III, della Cerchia Interna della Prima Schiera di Demoni del Quarto Inferno Inferiore, era piuttosto orgoglioso del suo lavoro ed era convinto di saperlo fare alquanto bene. Peccato che avesse un grosso difetto, almeno a detta del suo capo: era un ritardatario cronico. In tanti secoli di fedele lavoro aveva accumulato ritardi bastanti per una seconda vita demoniaca, ma non ci poteva proprio fare nulla.

Eppure nel suo lavoro era veramente forte: lui aveva la padronanza dell’”Ordine”.

Esistono per la precisione diversi tipi di Ordine, ma due sono quelli più importanti: il primo è l’Ordine delle Alte Sfere, quello ineffabile, quello delle sfere e dei pianeti, quello che mantiene in piedi la Realtà per intenderci; l’altro è quello tipicamente demoniaco, cioè l’Ordine della BUROCRAZIA.

In questo tipo di ordine, tutto deve seguire un iter ed avere una scala gerarchica, tutti devono avere qualcuno sopra e qualcuno sotto, per ricevere e dare soprusi nella giusta misura, e tutto deve assolutamente essere regolato dal denaro, perché per sottostare al giogo dell’Ordine nulla è di stimolo più di qualcosa di irresistibile come il denaro, la cosa più inutile di tutte le realtà, il miglior lavoro della schiera infernale.

Ebbene lui in persona, Yeurdar Kedalizef Seduprin III della Cerchia Interna, ecc ecc, aveva applicato la stessa regola che aveva soggiogato le schiere umane ai gironi del Quarto Inferno e la cosa aveva funzionato tanto bene che lo avevano convocato solo perché esponesse il suo progetto ai Signori del Quinto e del Sesto, mentre quelli del Secondo erano ancora restii ad accogliere innovazioni del genere. Il suo segreto era stato l’applicare una semplice costrizione ai suoi “stipendiati”: affidava ai Demoni dei compiti, con incarichi gerarchici ben precisi, e quindi con qualcuno che obbligasse gli altri a lavorare, e qualcuno che controllasse il controllore, e così via; di solito nella catena c'era sempre chi si dimenticava di svolgere il suo compito, uscendo dal ruolo, e magari andando a frustare qualche dannato in orario di servizio. Lui quindi aveva inserito in ogni pagina del libro paga un incantesimo di costrizione per ognuno dei Demoni. Quando uno dei demoni risultava non al suo posto, bastava lanciare specifico l’incantesimo nella giusta maniera e con il giusto cerimoniale per legare il soggetto al suo compito fino all’esaurimento del debito accumulato. Una cosa semplice e sicura, perché i Demoni Inferiori non erano abbastanza potenti da rifiutare gli incantesimi di legame, e quindi erano obbligati a sottostare alle rigide regole dell'ordine imposto. Yeurdar Kedalizef Seduprin III adorava l'inferno da quando era diventato questo regno di ordine ed ubbidienza. Doveva ammettere che alcune idee le aveva prese dagli umani del Primo Piano di Esistenza. Ma che dire: qualche suggerimento preso a caso non era copiare, no?

Comunque Yeurdar Kedalizef Seduprin III ora stava correndo lungo un corridoio di trasferimento da dove partivano Demoni per le varie destinazioni di evocazione, diretto verso una grotta posta sul Primo Piano Materiale: era l’unico livello di esistenza in cui non c’erano problemi di incontro tra i Signori dei vari livelli infernali. Tutto andò bene, nessun evento particolare, nulla di cosmico che giustificasse ciò che sarebbe successo poi. Mentre correva nella caverna si distrasse e banalmente inciampò, e cadde, rovesciando l’enorme cartella che trasportava, spargendo libri e appunti in giro per la caverna.

Banale e letale...

12.7.07

intro

Era buio. Di quel buio che ha una qualità quasi fisica, tanto che pare opporsi al passaggio della luce. Un buio che si potrebbe tagliare col coltello, si potrebbe dire se già non si dicesse della nebbia. Si potrebbe anche dire un buio accecante se non fosse riferito già alla luce. Insomma un buio... va beh, credo che si sia capito quanto era buio. Lo strano di quel buio era che parlasse. O meglio: si sentivano delle voci che dato il buio non si capiva se avessero una provenienza fisica o fossero proprie dell'oscurità stessa.
Le voci erano due: una profonda e roca come una gola montana rivestita di spuntoni taglienti, l'altra acuta e fredda come uno stiletto d'acciaio.
"Ma tu sei sicuro? Ma proprio sicuro sicuro?"
"Te lo posso giurare. L'ho vista con il mio occhio, ti ricordi quello che è là da un paio di secoli, quello che mi sono perso... quando è stato... non mi ricordo nemmeno. Comunque, ora non so come né perché ma è finito in casa sua. E ti posso giurare che Lei ha intenzioni serie..."
"Ma da qualche parte non dovrebbe essere vietato? Che so, una regola scritta in piccolo..."
"Temo di no. Se Lei esegue correttamente la procedura non ci sono speranze, può fare quello che vuole."
Il silenzio a questo punto fu carico di un senso di disperazione, come una coperta inumidita dalla rugiada notturna, e le voci tacquero per un pò, quindi con un leggero colpo di tosse la voce profonda ricominciò a parlare: "Beh, a questo punto, tanto vale prepararsi. Tu sei sicuro che la procedura che ha deciso di seguire è quella che si riferisce a me?"
"Guarda, dopo tutti questi anni non garantisco più una vista come quella che avevo allora, quando ho perso l'occhio, ma la pergamena era abbastanza vicina, e su c'era proprio il tuo nome. Certo, era rovinata, e secondo me anche di difficile interpretazione, ma il tuo nome era ben chiaro."
"Crotali infuriati! Secondo me dovrebbero toglierLe quel libro, siamo a quanti? Dieci? Dodici? e tutti bloccati in quel maledetto antro, a fare le cose peggiori. Mica è possibile, ci deve essere un limite.."
"Temo proprio di no: se ne ha voglia può anche farlo con tutti. Ha ricevuto IL LIBRO, mica un opuscolo qualunque... Certo che se trovo quello che se lo è perso..."
E piano piano le voci si affievolirono lasciando di nuovo il buio da solo a cercare definizioni che si adattassero alla sua consistenza.